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03/03/2023

Il payback dei dispositivi medici: rinvii applicativi e possibili forme di tutela

Con il D.L. 11 gennaio 2023, n. 4, il Governo ha posticipato al 30 aprile 2023 il termine entro il quale i fornitori di dispositivi medici sono tenuti a versare gli importi quantificati dalle Regioni a titolo di payback in applicazione dell’art. 9-ter del D.L. n. 78/2015.

Il payback è il meccanismo – abnorme e iniquo – attraverso il quale le Regioni stanno procedendo a recuperare dai loro fornitori privati una quota dello sforamento della spesa sanitaria sostenuta per l’acquisto dei dispositivi medici. In tal modo gli operatori economici, pur non avendo alcun controllo né alcun potere di intervento sulla gestione della spesa sanitaria, finiscono per essere chiamati a ripianare una parte significativa (variabile dal 40% al 50% a seconda delle annualità) dell’eventuale superamento del tetto annuale di spesa da parte degli Enti sanitari.

Lo slittamento del termine di pagamento serve al Governo per guadagnare tempo e valutare il da farsi a seguito dei numerosissimi ricorsi amministrativi proposti dalle ditte private contro tale forma di balzello, con il concreto rischio di blocco delle forniture da parte degli operatori del settore.

Il rinvio disposto con il D.L. n. 4/2023 riguarda, però, solamente il pagamento delle somme, senza sospendere né prorogare i termini per impugnare gli atti del relativo procedimento, che si è concluso per ciascuna Regione con l’emanazione di una determina dirigenziale contenente la lista delle ditte obbligate al pagamento e gli importi dovuti da ciascuna di esse per il quadriennio 2015-2018.

Le imprese che intendono opporsi al “prelievo forzoso” connesso al payback si vedono dunque costrette, per non incorrere in decadenze, ad impugnare gli atti amministrativi di quantificazione del “debito” nel rispetto del termine decadenziale di legge (60 giorni per il ricorso al TAR e di 120 giorni per il Ricorso Straordinario al Capo dello Stato), assumendo come termine “ultimo” per l’azione (il solo oramai “aperto”, cioè non ancora scaduto) quello decorrente dalla pubblicazione delle singole determine regionali.

Rimane da chiedersi se, decorso tale termine, sia definitivamente preclusa ogni forma di tutela o si possa ipotizzare l’esistenza di rimedi giurisdizionali diversi dal ricorso amministrativo.

La risposta dipende dalla qualificazione della situazione giuridica incisa dall’art. 9-ter del D.L. n. 78/2015, che in effetti sembra presentare delle incertezze.

Sino ad oggi (anche per prudenza) le contestazioni al payback sono state proposte al giudice amministrativo, sul presupposto che i provvedimenti assunti nel relativo procedimento incidano su “interessi legittimi”, cioè su situazioni giuridiche esposte all’esercizio di un potere autoritativo dell’Amministrazione, rispetto al quale il privato si troverebbe in posizione di soggezione.

Sussistono, tuttavia, elementi meritevoli di approfondimento per sostenere che la norma in esame incide in realtà su veri e propri “diritti soggettivi”, rispetto ai quali il privato si trova in posizione paritaria con l’Amministrazione e dunque gode di un maggiore spazio di tutela.

In tal caso la contestazione al payback non incontrerebbe il limite dato dal termine decadenziale di impugnazione ma sarebbe proponibile avanti al giudice ordinario nel più lungo termine di prescrizione, in considerazione del fatto che gli atti delle Regioni (anche per la prospettata illegittimità costituzionale dell’art. 9-ter del D.L. n. 78/2015) inciderebbero in realtà, senza valida causa giuridica, su diritti soggettivi del privato, con possibilità dunque di disapplicarli senza necessità di loro preventiva impugnazione in sede amministrativa.

In altre parole, ove la posizione delle ditte interessate fosse qualificabile in termini di “diritto” (e non di mero “interesse legittimo”), resterebbe percorribile la via della causa in sede civile nel generale termine di prescrizione decennale, per far accertare che le Regioni non hanno titolo a chiedere alcun pagamento a titolo di payback.

La giurisdizione ordinaria consentirebbe una forma di tutela persino più ampia ed efficace di quella azionabile in sede amministrativa, poiché le ditte interessate potrebbero chiedere al giudice civile (tra l’altro) di accertare che le Regioni non hanno titolo ad effettuare la compensazione tra payback e crediti relativi ad altre forniture, proponendo (nel caso) un ricorso ex art. 700 c.p.c. per ottenere la sospensione, in via cautelare, di tale meccanismo di compensazione.

L’indicata prospettiva, come detto, presuppone che la posizione giuridica dei privati sia qualificabile come “diritto”, e tale qualificazione rimane allo stato incerta.

Essa, tuttavia, potrebbe meritare in futuro un approfondimento soprattutto nell’interesse delle ditte che decidessero “in ritardo” di difendere i loro interessi nei confronti delle Amministrazioni regionali, poiché offrirebbe uno strumento di tutela azionabile entro 10 anni per contrastare una pretesa, quella del payback, che appare connotata da una ingiustizia sostanziale.